mercoledì 13 maggio 2015

Delicate sfumature.



Victor Hasselblad presentò la sua rivoluzionaria fotocamera nell'ottobre del 1948, presso l'Athletic Club di New York.







La macchina, denominata 1600F era un modello con otturatore a tendina sul piano focale ed obiettivi Kodak, più precisamente lo standard Ektar 80mm f/2.8, il teleobiettivo Ektar 135mm f/3.5 ed il grandangolare Ektar 55mm f/6.3.





Fin da subito il tempo di scatto di 1/1600" diede problemi per l'accuratezza non rispettata e difficoltà nella messa a punto in produzione, tanto che nel modello successivo, 1000F, che rimpiazzò la 1600F nel 1952, il tempo di scatto più breve fu portato a 1/1000".

La scelta di usare le pregiate ottiche americane derivò dal consolidato rapporto economico tra l'azienda Hasselblad e la Kodak, di cui essa era rappresentante esclusivo per la Svezia, quindi apparve naturale rivolgersi a Rochester anche perché la Germania nell'immediato dopoguerra non poteva ancora riprendere la produzione, e la Zeiss era stata smembrata e divisa dal muro di Berlino.
Tuttavia le ottiche Kodak erano costose perché in quegli anni il dollaro era molto quotato contro le divise europee, compresa la corona svedese.
Grazie all'apprendistato effettuato da Victor alla Zeiss 20 anni prima, si poterono successivamente dotare le fotocamere 1000F di obiettivi Zeiss, per la precisione ottiche Tessar 80mm f/2.8, Sonnar 135 mm f/3.5 e Distagon 60mm f/5.6 (il primo Distagon della storia calcolato dal celebre Erhard Glatzel nel 1954), oltre un Sonnar 250mm f/4; più avanti fu aggiunto addirittura un Dallmeyer 508mm (casa che per prima inventò lo schema teleobiettivo nel 1890).



La 1600F e la 1000F erano di concezione diversa rispetto ai modelli odierni ed avevano alcune limitazioni che pregiudicavano l'ammodernamento futuro delle fotocamere.

C'è da dire infatti che l'otturatore a tendine scorrevoli sul piano focale poneva seri limiti nei tempi da usare con il flash, inoltre gli obiettivi erano realizzati per essere usati ad apertura effettiva, con conseguente rabbuiamento del mirino, e comportavano manovre che rallentavano l'utilizzo della fotocamera.
La macchina in effetti era stata concepita negli anni 40 ed apparve chiaro che per affrontare il futuro dovesse essere totalmente rimodernata.

Fu così quindi che arrivati al 1957, fu presentata la nuova 500C, anche questa volta a New York:



Fu un enorme successo, che consegnò questa fotocamera alla storia della fotografia, come tutti ben certo saprete.




Fin da subito la nomenclatura dei modelli fu impostata in modo razionale: il numero indicava il tempo di scatto più breve (1/1600" per la 1600F, 1/1000" per la 1000F, 1/500" per la 500C) mentre la lettera designava il tipo di otturatore: F per otturatore sul piano focale e C per quello centrale.
Nel 1965 fu introdotto il modello con motore elettrico 500EL, e successivamente furono applicati gli schermi di messa a fuoco sostituibili, così si rese necessario identificare tali modelli e la 500EL divenne 500EL/M, mentre la 500C divenne  500C/M e beneficiò anche di un miglioramento del sistema di ammortizzamento della corsa dei volet posteriori (otturatore ausiliario), mentre sparì invece la presa flash ad esso collegata posizionata sul fianco sinistro (che era stata prevista per l'uso sul soffietto in accoppiamento a microscopi oppure ad ottiche adattate).
Su qualche raro modello di transizione (come la mia) si hanno entrambe le cose: presa sincro sul volet e schermo sostituibile, con marcatura 500C, perché la sigla C/M fu decisa successivamente all'avvio della produzione dei modelli con schermo sostituibile.

All'esordio la 500C fu dotata di un obiettivo standard Zeiss Planar 80 mm f/2.8, ma a differenza delle precedenti 1600F e 1000F, l'otturatore era stato disposto dentro l'obiettivo intercambiabile.

Tale otturatore, un Syncro-Compur 0-MXV CN 1210 022, raggiungeva il tempo minimo di 1/500" ed era sincronizzato su tutte le velocità sia con lampo elettronico (posizione X), sia con lampade al magnesio (posizione M, con gli ovvi limiti delle curve di combustione e senza la possibilità di regolare l'anticipo di accensione come nei modelli precedenti, essendo fissato in 15 millisecondi).



Esso era di concezione moderna: il diaframma restava sempre a tutta apertura chiudendosi al valore effettivo al momento dello scatto, inoltre era dotato di autoscatto e pulsante di effettiva chiusura del diaframma per la verifica della profondità di campo.
La stessa profondità di campo che poteva essere valutata sulla scala delle distanze tramite due indici meccanici mobili ed automaticamente collegati all'apertura del diaframma, con una costruzione complessa ma ben studiata.
L'autoscatto introdusse una notevole complicazione costruttiva, richiedendo due azionamenti separati per l'otturatore: uno per chiuderlo provvisoriamente all'inizio del conteggio, ed un'altro collegato alla molla principale per aprirlo e richiuderlo dopo il conteggio; non era infatti possibile usare la molla principale per effettuare la prima chiusura: ciò avrebbe scaricato la macchina richiedendo un secondo armamento e la perdita di un fotogramma, manovra decisamente insensata.
L'osservatore attento avrà notato che quando parte il conteggio dell'autoscatto l'otturatore si richiude con le 5 lame in una posizione leggermente più aperta da quella che hanno quando è chiuso dopo uno scatto normale. Ciò è dovuto alla diversa forza della molla che effettua la manovra di pre-chiusura (particolare 264 nell'esploso, mentre la molla 517 sotto l'ingranaggio chiude l'otturatore per la posa).
La manovra di pre-chiusura viene effettuata anche in caso di sollevamento anticipato dello specchio, per evitare, con i volet aperti, di impressionare la pellicola prima del tempo.

Nel 1982 l'autoscatto fu allegramente eliminato nella nuova serie CF, proprio per la grande difficoltà produttiva che richiedeva un ulteriore treno ad orologeria, perdipiù molto complesso da regolare.

Victor si era presentato alla fabbrica della Compur con i progetti già da lui studiati per il nuovo otturatore, e gli ingegneri della fabbrica risposero che come lo voleva lui, con un tempo minimo di 1/1000" era semplicemente impossibile da realizzare e inoltre non avrebbero potuto garantire la sincronizzazione del flash.
Dopo molte discussioni si raggiunse l'accordo per produrlo col tempo minimo di 1/500"; Victor quindi dovette rinunciare a malincuore al suo ambizioso progetto, per garantire affidabilità e costanza di qualità.


Il planar iniziale in esecuzione cromata satinata aveva uno schema ottico a 6 lenti, tuttavia la produzione di questa versione fu interrotta dopo soli ventinovemila esemplari, ed esso venne sostituito da una versione a 7 lenti, di immutate caratteristiche ottiche. Sembra, ma non ci sono notizie certe in merito, che l'aggiornamento si rese necessario per migliorare la risolvenza a tutta apertura, giudicata inadeguata per il livello dell'ottica. Tuttavia la versione a sei lenti pesa 459 grammi, mentre la versione con sette lenti pesa 425 grammi, mentre a rigore di logica dovrebbe pesare di più, visto che a parità di ingombri e misure una lente in più deve far aumentare il peso. Evidentemente c'è dell'altro e la questione resta un mistero irrisolto.

Schema a sei lenti
Schema a sette lenti



Tutte le ottiche prodotte a partire dal 1957 con barilotto cromato godettero di un trattamento antiriflesso a singolo strato, e soltanto nel 1973 fu introdotto il nuovo trattamento antiriflesso multistrato, denominato T* (trasparenz), mentre contemporaneamente la livrea del barilotto fu modificata in nero anodizzato (vi fu una breve serie di transizione di pochi esemplari con livrea cromata e trattamento T*, oggi molto ricercati tra i collezionisti).

Fin qui è storia.

Mi sono sempre chiesto quale potesse essere la resa degli obiettivi Zeiss cromati prodotti in quegli anni, perché ho sempre avuto soltanto obiettivi T*.

Non è mio costume fare richieste nei forum perché so bene che la maggior parte delle persone risponde con frasi copiate ed incollate chissà da dove. Tuttavia ho letto tante discussioni in merito, e molti ritengono queste ottiche "obsolete" ed inaccettabili per il basso contrasto e per l'intollerabile flare generato controluce.
Una sola persona definì le foto generate da questi obiettivi "delicate e sognanti".
E poiché quell'uomo l'ho conosciuto di persona e so che non è un cialtrone, mi è rimasta la grande curiosità verso questi obiettivi affascinanti.

Il caso vuole che recentemente sia entrato in possesso di uno di questi obiettivi cromati, per l'appunto  una rara versione a sei lenti, e, mannaggia a me, me ne sono innamorato perdutamente, ancor prima di poter vedere che razza di negativi potesse sfornare. Forse perché è così che lo ha immaginato e concepito il grande Victor Hasselblad (raffigurato nella copertina della sua biografia proprio accanto ad una 500C con un sei lenti), persona verso cui nutro una sincera ammirazione, e quando è montato sulla fotocamera, essa prende un altro aspetto, totalmente diverso da quando si montano obiettivi neri.
Penserete che sia pazzo, e forse è vero, ma questo Planar possiede un carattere delicato e fortissimo allo stesso tempo ed una capacità di leggere le ombre assolutamente stupefacente.  L'unico obbligo che impone è quello del paraluce. E non basta il paraluce normale, occorre il compendium.

Ora vi prego di osservare queste scansioni, poi potrete emettere un verdetto più sereno sulla mia salute mentale.




















L'obiettivo è giunto a me in condizioni catastrofiche, ed ha richiesto una revisione profonda ed accurata come mai non avevo avuto il coraggio di fare:




Ma ne è valsa la pena ed ora finalmente posso dire, a ragion veduta, che si tratta dell'ennesimo capolavoro del passato, figlio di uomini e di un tempo in cui nulla veniva tralasciato in nome della perfezione assoluta.

Ringrazio Massimiliano di Genova per avermi ceduto il suo planar cromato il cui anno di produzione ha per me un significato simbolico, ed averne accettato uno più recente, da me acquistato in sostituzione.


Aggiornamento del 18 maggio.


Ho provato anche una negativa colore, la Portra 400.




Ho usato il paraluce standard al posto del compendium, ed il flare è stato inevitabile.

Ma è sicuro che sia un errore?


E poi, ancora...





Aggiornamento del 24 maggio.



Torno ancora sull'argomento perché mi sembra incredibile che un obiettivo costruito oltre 50 anni or sono abbia una personalità tale da generare negativi assolutamente stupefacenti.
Più ci penso e più sono portato a credere che che le menti che hanno realizzato tutto questo fossero di un altro mondo; il paragone con ciò che viene prodotto oggi è così drammaticamente sproporzionato che sembra impossibile che soltanto in mezzo secolo l'umanità sia sprofondata nel fango fino al collo, e sia nello stesso tempo fortemente illusa di poter dominare ogni aspetto della propria vita con il clic di un microinterruttore a corsa corta, oppure strisciando le dita sulla superficie del totem, con un movimento goffo e patetico.




L'ariosità dello scatto è tale che sembra di poter respirare l'aria salmastra.

Come al solito il mio banco di prova della risolvenza è la lanterna: qui in un netto controluce si può osservare la struttura della gabbia del faro, i ponteggi a metà della torre, lo scudo crociato della Superba.





E non è finita...













I raggi della ruota della bicicletta sono più eloquenti di mille parole.



Aggiornamento del 30 giugno.


Questo è l'ultimo aggiornamento per rendere definitivamente  omaggio ad un incredibile gioiello di ottica e meccanica.

Ho usato una negativa colore che amo particolarmente per i suoi colori veritieri: la fuji 400H, e per esporre ho usato il bottone esposimetrico hasselblad, un vetusto esposimetro al selenio, da molti ritenuto superato ed impreciso...osservate il primo scatto: sono certo che manderebbe a bagasce gli esposimetri multi-tutto super tecnologici delle macchinette attuali.

Ma facciamo parlare gli scatti.


















mercoledì 15 aprile 2015

Fiori di ciliegio.


Il processo dello sviluppo di pellicole in bianco e nero funziona regolarmente e senza intoppi nel 90% dei casi.
Ma in quel restante 10% può creare problemi di incredibile difficoltà perché spesso non si tratta di un solo problema, ma della sinergia di tanti fattori, che identificare ed isolare può diventare un vero e proprio rebus.

Negli ultimi mesi ho avuto delle inspiegabili macchie sulle pellicole bianco e nero, macchie che si presentavano come alterazioni della densità del negativo secondo bande verticali, e si verificavano soltanto sul formato 120 e principalmente nelle zone più dense, quindi nel cielo.
Occasionalmente inoltre trovavo delle tracce casuali filiformi, come se i negativi avessero contratto la scabbia.

Tanto per farvi capire di cosa sto parlando, vi mostro un negativo che assomma tutti i difetti, compreso anche un flare in controluce:




Inizialmente i problemi si sono verificati soltanto con la pellicola Ilford PanF+ 50, e non riuscendo a risolverli in nessun modo ho semplicemente eliminato questa pellicola dalle mie preferite, non con poco rammarico, ma in certi casi è meglio amputare l'arto malato piuttosto che morire di cancrena.

Nei mesi successivi tuttavia il problema si è allargato progressivamente a tutte le pellicole, indistintamente, e la cosa ha preso una piega tale che risultava doveroso indagare a fondo per comprendere la natura del problema, ed è stato tutt'altro che banale.

Inizialmente temevo che si potessero verificare riflessi interni nel box specchio della mia Hasselblad 500CM del 1973. In fin dei conti il rivestimento antiriflesso non è che una specie di "vellutino" e la cosa poteva avere un senso, visto che non esistono materiali in grado di mantenere inalterate le loro caratteristiche per decenni.

Ma una prova molto semplice ha tagliato alla radice questa ipotesi: mi è bastato scattare qualche rullo di diapositive. Nessuna macchia, nessun segno, nessun alone.




Tirato quindi un sospiro di sollievo per l'ipotizzata inadeguatezza del corredo hasselblad, mi sono dovuto dedicare attentamente all'analisi dei problemi.

Premetto che sviluppo con la Jobo da molti anni ormai, prima utilizzavo la CPE2 con le tank serie 1500, poi sono entrato in possesso della CPP2 ed ovviamente ho venduto la piccola, ma ho conservato le tank 1500, che permettono di sviluppare usando quantità ridotte di liquidi.

Purtroppo uno dei problemi principali era esattamente questo: l'impiego di tank di piccolo diametro.

Le spirali della serie 1500 infatti hanno una spaziatura ridotta tra spira e spira e questo, durante la rotazione, non consente una adeguata circolazione dello sviluppo sulla pellicola.
Utilizzando quindi le tank della serie 2500 che sono di diametro maggiore ed hanno una spaziatura più ampia, il problema è scomparso.

Tuttavia inizialmente questa ipotesi l'avevo fatta, ed avevo provato appunto le tank 2500, col risultato che il problema si era ridotto, ma non eliminato.

Inoltre ho anche provato ad usare la tank a mano, senza usare la jobo, col risultato che le chiazze, invece di essere verticali, erano casuali. Ciò ha isolato lo sviluppo in rotazione come primo elemento di disturbo.

Doveva esserci però un altro motivo, che sommato al precedente creava gli aloni.


Dopo una serie di consultazioni telefoniche con i massimi esperti del settore, Andrea Calabresi e Gianfranco Pompei della Bellini, siamo arrivati ad ipotizzare che l'acqua del rubinetto che uso per le preparazioni dovesse essere satura di qualche elemento nocivo allo sviluppo, che poi è risultato essere il ferro.
Ho provato quindi ad utilizzare l'acqua di un'altra zona, con un deciso miglioramento, e poi l'acqua demineralizzata con un ulteriore miglioramento. Ma ancora non era ottimale.
Ho usato quindi l'acqua distillata da farmacopea ufficiale (che poi è acqua distillata con permanganato di potassio in caldaia per ossidare le frazioni organiche, ed è detta "bidistillata").

Con l'uso della tank piccola il problema persisteva, ma con le tank maggiorate il problema è scomparso del tutto.

Era ovvio però che non potessi assolutamente continuare ad usare acqua distillata per lo sviluppo: l'indebolimento della gelatina, oltre a creare problemi di potenziale distacco, spappola la grana, che negli ingrandimenti spinti si vede.

Col senno del poi dovevo arrivarci prima: ho sempre trovato tracce di ruggine nei filtri dei rubinetti. Ma si sa, gli unici che nascono già imparati sono i fotografi digitali, loro si che sanno tutto.

Perciò, dopo ulteriori consultazioni telefoniche mi è stato fornito uno speciale additivo, che aggiunto allo sviluppo ha complessato il ferro nell'acqua, liberandomi finalmente da un incubo che mi perseguita da mesi, se non da anni.
Il motivo per cui le diapositive vengono perfette anche in tank piccola è che il trattamento E6 è fortemente tamponato perché è standard ed è previsto per l'uso nelle peggiori condizioni. Ma il bianco e nero....è arte per pochi.

Quanto alle tracce filiformi, anche qui non è stato facile capire che erano dovute all'asciugatura forzata in armadio essiccatore: l'evaporazione rapida dell'acqua concentra le gocce residue facendole diventare sempre più piccole e calde e durante il loro movimento casuale sulla superficie, disegnavano queste "piste" sul negativo.
L'asciugatura in armadio può essere condotta alla temperatura massima di 32°C e conviene avviarla solo dopo che la gelatina non è più bagnata, la fase iniziale della asciugatura deve essere naturale.

Per quanto riguarda il flare invece ho deciso di fare un investimento: ho preso un compendium per hasselblad, che sarà brutto ed ingombrante quanto si vuole, ma che permette di scattare controluce quasi impunemente, ad onta della vetustà dei miei adorati obiettivi C.

Finalmente quindi posso riprendere a fotografare i cieli, ed il primo scatto "pulito" ho deciso di dedicarlo alla fioritura dei ciliegi, proprio con la PanF 50 (non ho usato il flash di riempimento).













sabato 11 aprile 2015

Note sul bianco e nero.

Una doverosa premessa: il giudizio di una foto in bianco e nero si può dare solo davanti ad una stampa, quindi le immagini che vedrete, che sono scansioni di negativi, vanno interpretate con cautela perché anche se cerco di farle assomigliare alle stampe, in realtà sono ben diverse, sopratutto nell'estensione tonale.

La coerenza tonale del bianco e nero è qualcosa di così difficile da spiegare che la si può apprendere solo dopo anni di esperienza in ripresa, sviluppo e stampa.
Oggi la maggior parte dei fotoamatori ritiene il bianco e nero come il ripiego della foto a colori malriuscita, spesso infatti mi tocca leggere frasi come "questa è la versione in bianco e nero".

Il bianco e nero non è una versione alternativa della foto a colori. E' una visione della realtà attraverso una distribuzione di toni grigi su carta bianca. La messa a punto della coerenza tonale richiede un impegno enorme, che può durare molto tempo.

Le immagini che siamo abituati a vedere oggi, in bianco e nero, fanno venire il vomito; essendo figlie del digitale e del suo puzzolente fiato corto, mancano di estensione tonale, e spesso, in omaggio al presunto lavoro di chissà chi, contrastate in modo barbaro, al punto da renderle grottesche.

La perdita della capacità di ragionare, dovuta alla semplificazione del lavoro da svolgere su una foto in bianco e nero, ha reso i fotoamatori tutti uguali. Scattano a caso, eventualmente ripetendo lo scatto sino a quando credono che possa andare bene; arrivano a casa e devono sopportare il tedio dello scaricamento delle foto sul pc (dove la maggior parte di esse poi muore) e del successivo rimaneggiamento in photoshop per cercare di restituire a quei poveri pixel la dignità che non hanno mai avuto (operazione che i più disonesti chiamano "sviluppo").
Poi, davanti alla triste realtà, non resta che spostare quei finti cursori un pò a casaccio, magari chiedendo aiuto nei soliti forum su quali impostazioni possano dare i migliori risultati.

Sembra la ricerca affannosa della pietra filosofale che impegnò gli alchimisti del medioevo.

La pubblicazione di questi obbrobri, magari deturpati dall'invadente "firma" che preserverebbe l'autore dal furto (ma quando mai rubano la spazzatura??) conclude la prima fase.

Successivamente, qualora l'immaginetta non riscuota il successo sperato, il fotoamatore più cafone arriva a frignare sui forum perché ha ricevuto tante visite e nessun commento.

Dignità=zero.

Il bianco e nero è un'arte visiva sublime, permette di arrivare ad una visione del mondo, degli oggetti e delle persone che può produrre forti emozioni in chi osserva.
Ma bisogna rieducare l'occhio, gettando via tutto il pattume che i produttori di ciarpame tecnologico ci hanno costretto a vedere facendo credere che sia il meglio. Non è vero. Non è il meglio, è il peggio.

La pellicola, sapientemente esposta, sviluppata e stampata, può generare fotografie che quando arrivano nelle nostre mani sortiscono l'effetto di un pugno nello stomaco e fanno capire di colpo quanto sia vuoto, nullo ed inconsistente tutto quello che abbiamo fatto e creduto sino a quel momento.
Salvo poi riprendersi dopo essersi resi conto che l'apprendimento della fotografia richiede un impegno enorme, uno studio continuato ed approfondito, e visto che la società attuale è pigra, inerte e viziata, rinunciare, magari disprezzandola come fece la volpe nella favoletta di Esopo.

Vi mostro qualche scansione, ottenuta anteponendo un leggero filtro giallo da mezzo stop, che riequilibra l'eccessiva sensibilità al blu delle pellicole (pur pancromatiche), restituendo una gamma tonale più delicata e coerente con la visione del mondo in bianco e nero, come piace a me.


Lo scafo dello yacht è nero e le murate sono bianche. Difficile renderle coerentemente.




Questo è un ingrandimento della lanterna sullo sfondo...onore all'S- Planar.






Passeggiata di Nervi a pasquetta....un delirio!



domenica 22 marzo 2015

Sulla bellezza dello sfocato.

Aggiornamento 8 aprile.

Torno sull'argomento con qualche scatto in bianco e nero.
Stessa attrezzatura usata in precedenza, S-Planar con flash di riempimento.












Aggiornamento 2 aprile.

In questo caso ho usato un piccolo flash manuale (NG16) per schiarire le ombre insieme all'S-Planar, regolato per avere uno schiarimento di uno stop inferiore alla luce naturale.
Nel caso delle canne l'ho sottoesposto tre stop per illuminare soltanto le giunte dei vari segmenti che ho voluto mettere in risalto nell'ombra del canneto.


 






Aggiornamento 31 marzo.

Un pò di colore finalmente, dopo un grigio inverno sembra essere arrivata la primavera.
Anche in questo caso ho usato l'S-Planar 120 con tubo di prolunga 21 e polarizzatore.












 Provia 100 in Bellini E6. Una gioia per gli occhi, peccato che la scansione la mortifichi.




Aggiornamento 29 marzo.

Ho deciso di usare questa pagina per mostrare cosa intendo per "bello sfuocato", giusto per compensare le troppe chiacchere vuote che il post ha suscitato.
Per gli amanti dei dati tecnici indicherò anche come ho ottenuto le foto, anche se ciò non serve a nulla, ma gratifica chi crede di poter replicare scatti altrui partendo dai dati.

Hasselblad S-Planar 120/5.6 su tubi prolunga 10+21 con filtro polarizzatore e paraluce.
Ilford FP4+ in Bellini Hydrophen 1+50 5' a 20°C.
Esposizione 13EV pari a 1/250, f/5.6


Da notare lo sfuocato generato ad un diaframma che certuni non si sognerebbero mai di usare, preferendo quegli inutili obiettivi superluminosi di cui amano tanto vantarsi, usati oltretutto a piena apertura. Intendiamoci, io sono il primo ad avere un armadio pieno di superluminosi, ma non me ne vanto, e li uso cum grano salis, non certo sempre e comunque a tutta apertura.

Il contrasto era piuttosto elevato, ma nonostante questo vi è ottima lettura delle ombre e le luci sono correttamente interpretate.






venerdì 20 marzo 2015

Alberi

Fotografare gli alberi è molto difficile.

E' pur vero che non si muovono e non scappano via, ma spesso sono male illuminati, è difficile creare gamma tonale coerente per farli risaltare, e sono circondati da altri alberi, impossibile isolarli.
Intendiamoci, lungi da me scimmiottare il grande maestro Andreas Feininger, che sugli alberi pubblicò uno splendido volume.
Posso solo limitarmi a proporre qualche scatto senza pretese, con distagon 60, frutto di diverse settimane di osservazione.








Questa invece è scattata con Planar 80, filtro giallo leggero e compendium.



domenica 15 marzo 2015

Le primavere si contano a Bologna!


Si, ormai è tradizione consolidata: almeno una volta all'anno ho il bisogno di vedere i miei più cari amici a Bologna, anche se andare e tornare in giornata è ormai per me piuttosto faticoso.

Una gran bella giornata, durante la quale Anna e Marco si sono tuffati nel medioformato che per loro è cosa nuova e stimolante, quindi per solidarietà ho portato anche io il cubo svedese.
Ma come ben saprà chi mi legge assiduamente, qui non c'è l'esposimetro multispot della T90 a darci una mano, no. Occorre ragionare per portare a casa le foto!

Allora vi mostro il racconto fotografico della giornata, giusto per riderci un pò su.

Si disquisiva giustappunto sulla difficoltà di esporre in caso di forti contrasti, quando ho visto questo porticato, nella Piazza della chiesa di Santo Stefano, che mi è sembrato perfetto per illustrare l'esposizione.


oops....c'è tutto....imbarazzante, vero?


Mentre Anna e Marco armeggiavano con i loro esposimetri (a proposito, siete dei copioni!) notavo una certa perplessità sui loro volti e li sentivo biascicare sotto voce frasi del tipo "prendi il grigio medio sul pavimento!"



E quando ho detto loro che in una giornata di sole, all'aperto, non serve misurare l'esposizione, ho visto un balenìo di felicità nei loro occhi!



Nel frattempo Anna aveva preso possesso della sua nuova fotocamera proletaria:


alla faccia di quei poveri tapini che sparlano di noi su faccialibro, e che sono tanto codardi che non avranno il coraggio di affrontarci al momento opportuno. Schiattate, và che chi parla alle mie spalle sta parlando al mio culo (frasetta by Paolo "Impressionando" di Modena che ringrazio di cuore).


Poco distante è apparsa una simpaticissima signora


che, disturbata poco dopo da uno dei soliti questuanti, non ha esitato un secondo ad elargirgli un buono per un vaffanculo gratis. Grande signora! La invito a Varese, ho giusto bisogno dei suoi buoni!

Mentre aspettavo che Anna con la "proletaria" e Marco con la "lavatriciona" facessero qualche scatto nella piazza, sono stato fermato da una bella coppia con la quale ho parlato un pò. Erano convinti che la pellicola non esistesse più. Non sanno che la pellicola prima o poi seppellirà le mendaci immagini digitali. Leggetevi "L'estetica del falso" di Francesco Mento.

Foto di Marco Stellato con la lavatriciona.

Il loro adoVabile cagnetto non mi mollava più!!!


Fattasi l'ora di pranzo ci siamo spostati al mercato di mezzo che si è rivelato un locale piacevole e splendidamente frequentato. Adoro Bologna per la meravigliosa gente che la popola.

Tra piadine, panini, insalate di farro, birra torbida e l'incredibile cocacola artigianale, abbiamo adocchiato il lucernario e ci siamo sfidati a fotografarlo.


oops...anche questa è imbarazzante, e NON ho usato il multispot della T90!!!


Dopo pranzo, satolli e soddisfatti si è reso doveroso fare un pò di street perché come ben sapete il fotografo moderno deve fotografare biciclette e gente per la strada, altrimenti è un signor nessuno.





e poi stili di vita così diversi tra loro...




e l'immancabile vicolo...



stucchevolmente ben esposto!!!


Nel tardo pomeriggio abbiamo operato un ricongiungimento familiare con Davide a Santa Maria dei servi, dove uno strano figuro è apparso all'improvviso



e si è fiondato nel gruppo di queste povere ragazze con la velocità di un falco:



le poverette, non avendo lo smalto della signora incontrata la mattina, e non riuscendo a sopportarlo se ne sono dovute andare, ponendo fine al sit-in.


Purtroppo la giornata è arrivata al termine, io e il "bell'Antonio" siamo dovuti ripartire per Genova con rammarico, ma con il cuore gonfio di gioia per la bella giornata passata.

Chiamo Anna e le dico "mettiti li, che ti faccio una foto". Lei stranamente obbedisce.



ed eccola, splendida ed affascinante più che mai!


Ringrazio Anna, Marco Davide, Bologna, la Kodak, e la Hasselblad per queste magnifiche gocce di memoria! 

lunedì 16 febbraio 2015

Caduta di luce con tubi di prolunga Hasselblad.

Rispondo pubblicamente ad un lettore che mi ha chiesto tramite messaggio quale sia la correzione da applicare quando si adoperano i tubi di prolunga Hasselblad.

Ebbene, poiché ho erroneamente cancellato il messaggio, faccio ammenda e pubblico questa tabella.



La tabella vale solo per gli obiettivi C e per i tubi di prolunga 10, 21 e 55 nelle varie combinazioni tra loro.
La voce "distanza di messa a fuoco", indica la distanza minima di messa a fuoco che si ottiene montando la combinazione specificata.

Ad esempio, usando l'S-Planar 120 con il tubo di prolunga 21, si avrà una caduta di luce di 0.82 EV (quasi uno stop), un fattore di ingrandimento di 0.35X ed una distanza minima di messa a fuoco di 62 centimetri.

Fonte: www.hasselbladhistorical.eu/HT/HTCuC.aspx


Per quanto riguarda la seconda domanda, ossia una tabella sul difetto di reciprocità, questa non posso pubblicarla perché non esiste. Occorre cercare il foglio informativo (datasheet) pubblicato dal fabbricante per ogni tipo di pellicola, e regolarsi con esso.

Mi scuso con il lettore per la cancellazione del suo messaggio.