domenica 17 luglio 2016

Occhio d'aquila.

Adlerauger, ovvero "occhio d'aquila".

Così fu soprannominato lo schema ottico Tessar, inventato nel 1902 da Paul Rudolph, e nel soprannome vi è l'essenza di quella geniale idea, un obiettivo arioso e capace di un dettaglio impressionante.
A quello schema, opportunamente modificato, la Zeiss si affidò per creare i teleobiettivi fortemente voluti da Victor Hasselblad, grande appassionato naturalista, che videro la luce nel 1961, insieme allo scrivente,  sotto il nome Tele Tessar.



Ne furono commercializzate due versioni: il 500mm f/8, di cui ho già parlato in queste pagine, ed il 350mm f/5.6, che comprai lo scorso anno, subito dopo aver comprato il 500 ed esserne rimasto letteralmente entusiasta.
Lo pagai poco perché era venduto come difettoso, per via dei tempi lenti non funzionanti, cosa piuttosto comune sugli obiettivi C.
Tuttavia il difetto si risolve applicando poche micro gocce di olio Moebius 9010/2 sui perni degli ingranaggi del gruppo ritardatore, cosa che ad una mano allenata come la mia, richiede solitamente meno di mezz'ora.
Purtroppo avevo sottovalutato l'ermetica costruzione del teletessar. Anzi, dovrei dire monolitica.
A differenza degli altri obiettivi, dove i gruppi ottici sono preassemblati e possono essere smontati in pochi istanti, nel caso del tele tessar il lungo cono che contiene le lenti anteriori non si può separare dal gruppo otturatore facilmente, come avevo ingenuamente pensato.
Occorre smontare tutte le lenti, ma la cosa più difficile è togliere un anello delimitatore di campo posto dopo il secondo gruppo, difficile da raggiungere, difficile da svitare, e poi difficilissimo da riavvitare. Inoltre tutto l'interno è trattato con una vernice molto opaca che si sporca facilmente con le ditate, diventando lucida. Guanti di cotone, isopropanolo, attrezzatura abbondante ed appositamente modificata, ordine, metodo e tanta pazienza.

Alla fine questo magnifico teletessar è rinato tra le mie mani, ed oggi, in una splendente giornata di luglio con poca foschia, ho deciso di provarlo, sia per verificare il funzionamento dell'otturatore, sia per controllare che il rimontaggio delle lenti fosse stato corretto.
A differenza del fratello maggiore, il 350 è perfettamente utilizzabile a mano libera senza affaticamento eccessivo. L'acute matte D poi fa il resto, e consente una messa a fuoco infallibile.

Ho scelto appositamente le ore più assolate per valutare la proverbiale attitudine degli obiettivi C nello scavare impressionanti dettagli nelle ombre, e di restituire quell'ariosità, quella tridimensionalità, quella naturalezza e quel dettaglio mozzafiato che mi ha fatto perdutamente innamorare di essi.

Ho usato una pellicola 400 asa, la Kodak Tmax, solo perché ne avevo altre due in attesa di sviluppo, e non avevo voglia di fare bagni diversi. Diversamente avrei provato con una FP4, per avere ancora più dettaglio.

Ed ecco gli scatti, che penso non abbiano bisogno di nessun ulteriore commento.















Impressionante il dettaglio nei mucchi di carbone.


Aggiornamento 27 luglio.


Ecco la prova colore su Portra 160 di questo superbo teleobiettivo.
Lascio parlare le foto perché c'è poco da aggiungere, se non una precisazione: i più attenti potranno notare una quota di aberrazione cromatica residua. E' del tutto normale in un progetto degli anni 60.
I vetri speciali e la fluorite per correggere lo spettro secondario arrivarono molti anni dopo, e difatti furono realizzati anche i tele-apo-tessar. Ma i costi, ancor oggi, sono proibitivi.
L'aberrazione cromatica residua tuttavia è appena accennata e si nota soltanto negli ingrandimenti spinti, nulla quindi che possa disturbare il normale utilizzo.















1 commento:

  1. Come sempre molto interessanti i tuoi articoli. Occhio d'aquila a dir poco.

    Emanuele.

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