domenica 9 aprile 2017

Una giornata con la Super Wide.

La Hasselblad Super Wide, sensazionale e costosissima macchina super grandangolare fu presentata al Photokina del 1954, prima quindi della 500C, poi modificata e realizzata in diverse versioni, ma tutte caratterizzate dal leggendario obiettivo Biogon 38/4.5, come ben descrive l'amico Marco Cavina.

Il modello che uso io è stato realizzato nel 1973, quindi appartiene alla terza serie, con obiettivo C nero a caricamento automatico e collegato con l'avanzamento della pellicola sul magazzino.



E' una macchina antipatica da usare, si deve inquadrare tramite un mirino galileiano, che contemporaneamente consente di controllare la livella per l'orizzontalità, manovra scomoda e lenta.
A distanza ravvicinata subentra un errore di parallasse dovuto alla posizione sopraelevata del mirino di cui occorre tenere conto.
La messa a fuoco va fatta a stima perché è priva di qualsiasi ausilio anche se l'enorme profondità di campo di questo obiettivo rende agevole lavorare in iperfocale senza troppi problemi.
Il rumore dello scatto è ridicolo e non comunica nessuna piacevole sensazione, inoltre la macchina va tenuta all'altezza dell'occhio ed essendo pesante, dopo poco affatica; per migliorare l'ergonomia, a prezzo di un ulteriore appesantimento, si può usare la maniglia da avvitare sulla slitta cavalletto, che rende la SWC simile ad una cinepresa degli anni 50.
Ma non è tutto. Per la salute dei negativi, dato l'enorme angolo di campo del Biogon pari a 90°, è bene usare un paraluce compendium, dato che il piattino da caffé offerto come paraluce ha un'efficacia pari a zero.
Le premesse spiegano perché la uso poco, ma poiché avrei intenzione di usarla sulle dolomiti questa estate al posto del Distagon 40, ho pensato di metterla alla prova per le strade di Parma, dove ieri ho passato una gradevole giornata primaverile.
Avevo in frigo l'ultimo rullo di una pellicola che ho amato tantissimo, la Fuji Neopan 400, scaduto sei anni fa; perciò le ho reso l'onore delle armi. Un pizzico di benzotriazolo nello sviluppo mi ha assicurato l'assenza di velo, che temevo potesse guastarmi la gioia della giornata. Ho preferito usare l'effetto compensatore del D76 data la giornata soleggiata ed i forti contrasti della ripresa.

La Super Wide, usata a mano libera è un vero supplizio, si deve alternare lo sguardo tra il mirino per controllare la composizione, in una finestrella piccola come quella dello spioncino di una porta, ed il piccolo prisma laterale che consente la visione della livella torica, dove bisogna centrare la piccola bolla d'aria nel cerchietto di riferimento. Idea geniale, ma diabolica da mettere in pratica.








Ho deciso allora di fregarmente delle linee cadenti e di ignorare deliberatamente l'orizzontalità della fotocamera, in un impeto lomografo di pura e cristallina ignoranza fotografica contre-plongée; in fin dei conti credo di potermelo permettere.


L'uso di una 400 asa in pieno giorno mi ha sicuramente tolto il piacevole stupore nell'osservare i dettagli fini sul negativo, garantendomi in contropartita una profondità di campo da 65 centimetri ad infinito, tale da permettermi di impostarla all'inizio delle riprese e di dimenticarmene totalmente. Altro che autofocus.












Due spettacolari Fiat Cansa degli anni 60


Un giretto su questa Subaru l'avrei fatto volentieri!


Inno alle linee cadenti del perfetto lomografo!



3 commenti:

  1. Ciao Sandro,
    mi permetto la confidenza del "tu", pur non conoscendoti di persona, ma seguendoti da anni (dalla tua iniziale importante presenza in quel Forum). Premetto che di fotografia con pellicola -sempre e esclusivamente da appassionato poco competente ne ho fatta sin dagli anni 50. Ho anche frequentato un pò di camera oscura (B/N) senza alcuna pretesa ma solo per puro divertimento. Ecco, con ciò, e senza alcuna finalità polemica, ma per avere un tuo giudizio "aggiornato", vorrei proporre alla tua indiscussa competenza (ma anche alla tua nota avversione per il "digitale") un quesito che si aggancia direttamente alla qualità dei tuoi lavori suesposti. Insomma, a tuo parere, l'attuale produzione digitale (macchine, ma anche obiettivi), riesce a competere con la qualità dell' "analogico" (brutta espressione, che uso esclusivamente per riassumere tutto quel mondo che era la fotografia di prima) Ti ringrazio per una tua sempre gradita risposta.
    Giampaolo

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    1. Ciao Giampaolo.
      E' un problema che non mi pongo, ho smesso di seguire la folle corsa tecnologica del digitale da anni, quindi non ho la minima idea di dove sia arrivato, e quand'anche lo fosse, o avesse superato, la cosa non mi interessa: la totale mancanza di soddisfazione nel maneggiare immagini digitali me lo ha fatto relegare tra le cose inutili prodotte attualmente solo per fare cassa a danno degli appassionati. Preferisco avere l'odore del fissaggio sulle mani piuttosto che gli occhi abbacinati dal monitor.

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  2. Sandro,
    ti ringrazio per la risposta. E capisco perfettamente il tuo stato d'animo, attratto da quel qualcosa di "fisicamente" tangibile -anche sotto il profilo sensoriale- troppo importante nella tua scelta personale per poter lasciare spazio all'altra fotografia.
    A parte tutto ciò rinnovo le mie affermazioni di apprezzamento per quanto ho potuto a suo tempo leggere di tuo e quanto oggi posso gustare per la competenza espressa, seguendo il tuo blog. Posso confermarti che anche l'attuale fotografo digitale, si fa per dire (quale sono io oggi) ha comunque sempre nel cuore tutti quei profumi (non odori) della camera oscura, del cuoio delle custodie di allora, del metallo delle fotocamere e degli obiettivi, a parte ancora il ricordo di qualche scottatura della smaltatrice.
    Ciao.
    Giampaolo

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