domenica 22 gennaio 2023

In memoria di Rodolfo Faccin Von Steidl

Con questo post desidero onorare la memoria di un grande fotografo genovese deceduto due anni fa: Rodolfo Faccin Von Steidl, e lo faccio raccontando una bella storia.

Purtroppo non mi è stato dato di poterlo conoscere, ma chi lo ha conosciuto lo ha descritto come un uomo gentile ed elegante, capace e raffinato, che ha lavorato principalmente nel campo della moda.
Massimo Lovati lo ha ricordato a sua volta in un post su Instagram di cui vi metto qui l'indirizzo, oltre ad altri articoli in sua memoria che ne descrivono meglio la personalità.

instagram

altoadige

la voce di genova


Poi purtroppo la malattia, la degenza e la triste dipartita.

Ma perché vi parlo di lui?

Esattamente lo scorso anno un caro cliente mi ha segnalato che presso un robivecchi a Recco vi era del materiale fotografico "interessante" suggerendomi di andare a dare un'occhiata al più presto, prima che sparisse. Ebbene detto fatto, prendo l'auto e me ne vado a Recco.

Ho tribolato un po' a trovare il posto ed il posteggio, e quando sono entrato in negozio, sono stato accolto da una musica Heavy Metal ad altissimo volume. Intendiamoci, nel 1979 corsi a vedere i Kiss in concerto al Palasport a Genova, ma allora avevo 18 anni, non 61 e qui si trattava di un frastuono assordante, al limite della soglia del dolore. Ero scocciato e quasi tentato di andarmene.
Fortunatamente il negoziante vedendomi sull'uscio impietrito ha capito ed abbassato il volume, così sono entrato, e facendo finta di nulla mi sono aggirato tra le vetrinette, dove vi era quasi esclusivamente del gran ciarpame, ma all'improvviso, alzando lo sguardo, posata sopra un'orrida angoliera pseudobarocca vi era una Pentax 6x7 ben bene impolverata, priva di obiettivi.
Chiedo lumi al titolare e mi dice: "guardi che è appartenuta a Rudy Faccin". "Ma davvero?" rispondo facendo finta di cascare dalle nuvole. Spara una cifra che mi pare congrua, ma la macchina è bloccata, quindi dopo una breve contrattazione me la porto via insieme ad un riproduttore per diapositive Bowens su cui era montata una Nikon F. Questi ultimi due oggetti li ho rivenduti in un lampo dopo averli revisionati.
In verità volevo fare la stessa cosa anche con la Pentax dopo averla riparata perché oggi queste macchine hanno un discreto valore sul mercato. Il titolare del negozio voleva anche vendermi l'archivio di diapositive di Rudy, ma ho declinato perché onestamente la cifra richiesta non mi è sembrata adeguata, poi onestamente non avrei saputo cosa farmene.
Tuttavia appena tornato a casa ho chiamato al telefono Massimo, che sapevo essere grande amico di Faccin, per chiedergli se mai fosse stato possibile, e per quale motivo parte dell'attrezzatura del famoso fotografo fosse finita presso un robivecchi.
E' emersa una storia triste e sconsolante, di cui per rispetto del defunto non posso parlare, ma lui che lo conosceva bene mi raccontò che Rudy era un vero fanatico della 6x7 e la usava costantemente per i suoi servizi di moda, come con un po' di fatica si riesce ad intravedere qui:

https://www.mentelocale.it

Pare quindi che la Pentax in questione dopo essersi bloccata fu accantonata nello scatolone dentro un armadio, ed ivi trovata dal signore incaricato di svuotare l'appartamento.
Lo stesso Massimo, è andato a sua volta a Recco per recuperare l'archivio del suo caro amico, e forse in un prossimo futuro si potrà organizzare una retrospettiva sul suo lavoro e per me sarà un onore fornire in esposizione la sua fotocamera, visto che tutto il resto del suo notevole corredo è stato alienato in condizioni non bene definite.

Questo è l'antefatto.

Nei giorni successivi ho affrontato lo smontaggio della Pentax sperando di non avere preso un pacco nel caso in cui fosse stata rotta in modo irreparabile. Ma per fortuna era solo sporco accumulato, unito a mancanza di lubrificazione. Cosa che peraltro succede a tutte le fotocamere che hanno almeno 50 anni sul groppone.
Durante il lavoro sono più volte rimasto allibito.
Ho scoperto infatti una meccanica di precisione di altissimo livello tecnico, con soluzioni di grande ingegno, in una realizzazione robustissima e pensata anche per una agevole manutenzione (cosa non sempre scontata, anzi.)
Insomma, sarà stata l'anima di quell'elegante signore altoatesino, ma ho deciso di tenerla, equipaggiarla con un obiettivo e di provarla. E se proprio non mi fosse piaciuta, l'avrei rivenduta senza problemi.
Così ho comprato un obiettivo che si avvicinasse il più possibile alla resa di uno degli obiettivi che sul corredo Hasselblad amo maggiormente, ovvero il Distagon 60, ed ho scelto quindi il Super Takumar 75/3.5.
Dopo aver revisionato anche questo sono uscito per i primi scatti di prova, e dannazione, ne sono rimasto totalmente abbacinato.
Stiamo parlando di un sistema fotografico di altissimo livello, sia meccanicamente che otticamente.
Una delle poche macchine a tendina sul piano focale dove i tempi sono perfettamente rispettati, compresi i più rapidi, indice di una ricerca della qualità assoluta sia per gli acciai delle molle, sia per la realizzazione di perni e cuscinetti dei tamburi, che sono i primi a mangiarsi la precisione dei tempi veloci.
Così, visto che si stava avvicinando l'estate, mi è balenata l'idea di portarmela sulle dolomiti, per metterla sul banco di prova, a diretto paragone con l'Hasselblad che porto con me in montagna da molti anni.
Ho quindi acquistato un Super Takumar 45/4 per emulare il Distagon 40, un 165/4LS per emulare il Sonnar 150 e infine un 105/2.4 per valutarne la resa dello sfocato. Ovviamente sono stati tutti ricollimati alla perfezione prima della partenza. In particolare il 105 aveva un pesante ingiallimento del gruppo posteriore che ha richiesto ben 140 ore di esposizione alla luce ultravioletta per tornare trasparente.
Ebbene, al ritorno, dopo aver sviluppato i rulli non potevo credere ai miei occhi: ho trovato una resa pazzesca che non sono riuscito a definire a parole, ma che mi ha lasciato senza fiato.
Il fotografo Darko Perrone, caro amico, ha trovato per me la definizione esatta: "ha una resa dello spazio unica al mondo".

Non mi resta che far parlare gli scatti (e chiedo scusa per i colori non veritieri, ma le scansioni sono sempre un terreno paludoso) .

Concludo ringraziando un grande uomo mai conosciuto, che forse da lassù ha voluto lasciarmi un suo ricordo e mettermi in condizione di acquisire un nuovo, entusiasmante tassello alla mia conoscenza fotografica.


SMC 45/4 - Kronplatz 2022

SMC 165/4 LS - Kronplatz 2022

SMC 45/4 - Kronplatz 2022

SMC 75/3.5 - Kronplatz 2022

SMC 75/3.5 - Kronplatz 2022


SMC 45/4 - Kronplatz 2022



Mio papà (98 anni) e mio nipote (18 anni) brindano alla mia salute. SMC 105/2.4 settembre 2022


Il Nazario Sauro a Genova - SMC 75/3.5 ottobre 2022

Una vista da quinto al mare sul monte di portofino - SMC 105/2.4 novembre 2022

Bagnanti a novembre a quinto - SMC 105/2.4


Un ritratto a tutta apertura col millesimo. 105/2.4 novembre 2022

Viste da Nervi - SMC 105/2.4 novembre 2022

Viste da Nervi - SMC 105/2.4 novembre 2022

Il passatempo preferito, ANCHE di fronte ad uno splendido tramonto a Nervi.

Nonostante la pesante trasfocazione in un obiettivo così luminoso, la resa del dettaglio resta notevole.



Grazie Rudy, la terra ti sia lieve, custodirò la tua macchina con gran rispetto.




lunedì 17 maggio 2021

Si volta pagina!

 

No, calma, non esco da un silenzio durato quasi due anni per dire che sono passato al digitale, questo, state tranquilli non potrà mai accadere.

Nella mia ossessiva ricerca della qualità fotografica mi sono imbattuto in una gagliarda signora che se la batte con i miei quasi sessant'anni, essendo nata due mesi prima di me.
Inizialmente, da gran fanatico del sistema Hasselblad quale sono, l'ho pesantemente snobbata, la ritenevo spratica, un po' bruttina, forse anche ridondante. Ma sopratutto dannatamente scomoda per via della disposizione dei suoi comandi.

Sto parlando della Rolleiflex. 

Ebbene si, il grande avversario di Victor Hasseblad, Reinhold Heidecke, dopo anni di dileggio, ora se la ride.

Ci sono cose che nella vita devono accadere e basta, ed è successo, mi è piombata tra capo e collo, inaspettatamente, un po' malconcia e malandata e devo dire che dopo averla tenuta un po' tra le mani, l'ho sbattuta su una mensola a far da bella statuina: proprio non riuscivo a mandarla giù. Tutte le sue nemiche svedesi sulle altre mensole la guardavano male, e l'avranno pure derisa. Poverina.

Nei mesi successivi mi sono applicato per ripararla, con il preciso intento di rivenderla una volta sistemata. Cambia questo, cambia quello, una revisione a modo e ... mannaggia, è diventata pure bella.
Poi ho commesso un tragico errore. Ho comprato una tracolla con i coccodrilli (così vengono chiamati dagli amici Rolleisti i geniali attacchi rapidi che in un secondo fissano la tracolla alla macchina).

E dai, mettiamola al collo, 'sta roba pesa pure un chilo e tre etti.

MIRACOLO, MI-RA-CO-LO.

Non può essere stato altro che un miracolo. Messa al collo si è magicamente trasmutata.

Ha preso un senso, è diventata pratica, comoda e leggera. E' diventata pure bella!

Così mi sono ficcato in un altro tunnel.

Monta un planar a sei lenti, vi dice nulla? E' un caso pure questo?

Fatto sta che dopo averla revisionata e ricollimata, dopo averla ripulita ed accessoriata è venuto il momento di fare qualche rullo di prova.

E mannaggia a Reinhold, da qui non si torna indietro. Attenzione però, non sostituisce nessuno, è una macchina complementare,  bisogna averla e basta. Il suo senso sta nel fatto che esiste, e nei negativi che sforna. Niente altro. Qualità estrema in tutti gli aspetti possibili, in tutti gli accessori, in tutto ciò che le è stato pensato addosso. Capirla non è stato facile, la manopola di messa a fuoco di là, il pulsante di scatto di qua, la manovella dalla parte opposta. Ma ci si prende la mano, e scopri che è silenziosa e che nessuno ti sente quando scatti, specie se sei chino sul pozzetto.
Ho sempre cercato di usare i filtri il meno possibile. Alla fine rubano sempre qualcosa, e se sai veramente stampare puoi anche farne a meno. Poi monti questi graziosi anellini colorati sulla Rolleiflex e scopri che sono invisibili. Nulla, non portano via nulla....e come cavolo hanno fatto?
Ma il bello non è ancora giunto. Fu pensato nel panorama accessori un misterioso vetro pianparallelo, per tenere il negativo perfettamente in piano e garantire la massima nitidezza. Un po' come fecero sulla luna con la Hasselblad montando il plateau reseau, anche se lì c'era pure uno scopo fotogrammetrico.
Ebbene tale vetro solletica dannatamente la fantasia di quest'uomo ossessionato dalla qualità estrema. E via, dopo essersi svenati l'oggetto entra nel repertorio. Ma non basta codesto vetro, occorre anche un dorso speciale che tramite un comando della fotocamera solleva il pressapellicola di sette decimi ad ogni avanzamento per non rigare l'emulsione. Fantascienza pura, sembra di rivedere Andromeda di Robert Wise con gli occhi di un adolescente degli anni 70.

E guardatela questa 3.5F modello 3 del luglio 1961, non è anche un po' provocante?





Ma le vicende che vi sto narrando risalgono allo scorso ottobre ed ora siamo a maggio dell'anno dopo. 

Si, a volte sono un bradipo, devo metabolizzare le cose nuove e farle mie. 

Così le prove sono state tante, compreso anche quello strano esposimetro al selenio vecchio di una dozzina di lustri che incredibilmente non sbaglia una previsione. Manco Nostradamus.

Per spingermi a farne un post però c'è voluto ben altro. Ho fatto molti negativi anche a colori e li ho stampati, e sono rimasto veramente entusiasta di questa piccola scatoletta apparentemente sgraziata. Quasi fosse autistica, mentre in realtà è una maggiorata. E' vero non puoi cambiare l'obiettivo, ma se vuoi avvicinarti per fare riprese ingrandite c'è il Rolleinar, e non uno solo, ben tre. Rimpiangi il 135 perché sei un pontificatore dello scatto? C'è il Rolleikin. Ha un assortimento di filtri da far impallidire persino il signor Wratten, ed altri accessori ancora,  ancora, e ancora, come nella splendida canzone di Mina.




E poi mesi e mesi di stolidi arcobaleni caldi che ci hanno costretto al domicilio. Niente foto. Non potevo certo provarla nell'orto.

Così finalmente allentate le maglie della clausura sono arrivati giorni più sereni, ho montato l'aggeggio vetroso sul dorso e me ne sono andato  a fare, finalmente, una bella passeggiata a Nervi, dove lo spirito si rilassa nella grande magnificenza del panorama.

Sulla destra il piccolo perno che solleva lo speciale
pressapellicola durante l'avanzamento.
Il perno spinge solo su di un lato ma nel retro
del pressapellicola vi è un parallelogrammo
articolato che ripartisce il movimento anche sul
lato opposto.


In realtà non pensavo di condividere questa esperienza, ma è stata travolgente ed ho capito che era giunto finalmente il momento di cambiare pagina, dando il benvenuto alla figlia di Reinhold Heidecke sul ristrettissimo podio dove gelosamente conservo quell'estrema qualità a cui sono avvezzo da anni e che alla fine è anche un po' la mia ragione di vita, e la mia filosofia di lavoro.

Ho usato una FP4, esposta a 100 asa e sviluppata nel mio solito brodo primordiale, il D76. Non è una pellicola finissima, ma rende splendidamente l'idea. Chissà cosa salterà fuori usando qualche mostro a bassissima sensibilità...

Non commenterò ulteriormente, farò solo parlare gli scatti.

























lunedì 3 giugno 2019

L'evoluzione della perfezione.

Si, perché di questo si tratta, essere riusciti a portare la perfezione oltre ogni limite immaginabile.

L'argomento odierno è ancora il Planar, di cui non riesco proprio a stancarmi, ma non parlerò del sei lenti cromato che tutti ormai ben conoscono.

Parlo del planar 100 Hasselblad in versione a cinque lenti, un obiettivo noto per la sua incredibile risolvenza e sopratutto per l'uniformità, ottimizzato per riprese ad infinito e progettato specialmente per riproduzioni e riprese aeree.




Eccolo, una rara versione del 1975 con baionetta di servizio cromata.


Ero convinto di non averne bisogno e non l'ho mai considerato, ma nella vita, si sa, capitano a volte occasioni imperdibili, e così anche questo oggettino è finito tra le mie grinfie.

Devo dire onestamente che l'impatto visivo una volta aperto il pozzetto è veramente entusiasmante, l'occhio è investito da una incredibile sensazione di ariosità e di nitidezza.
Così nella prima domenica primaverile di quest'anno, una bella giornata finalmente assolata, l'ho portato sul banco di prova, al Porto Antico di Genova, luogo che amo particolarmente perché mi fornisce contrasti per molti indomabili e ovunque ci si gira vi sono dettagli minuti da riprendere, geometrie e prospettive accattivanti.

L'unico scatto della serie che presento in formato rettangolare è dovuto ad una sovrapposizione di fotogrammi, quindi il ritaglio è stato obbligato. Certo, vi chiederete se proprio io devo girare con un magazzino difettoso? Beh, anche questo è risaputo, il calzolaio gira con le scarpe rotte!

Ecco qualche esempio.





Il "solito" ingrandimento...


Sarà pure poco ottimizzato per riprese ravvicinate, però...

Qualche cattivone osserverà che la fila di tacchi non è centrata sul raccordo curvo della battagliola. E' vero, ma ho fatto la ripresa attraverso una inferriata, o qui, o li. Ho scelto il meno peggio.

















E naturalmente le scansioni dicono solo una mezza verità, ma le stampe... da rimanere senza fiato!

























domenica 3 marzo 2019

67 anni.

Nel 1952, esattamente 67 anni or sono, la Hasselblad mise in produzione il modello 1000F, una fotocamera reflex 6x6, con obiettivi, magazzino e pozzetto intercambiabili e con otturatore a tendine scorrevoli sul piano focale, avente il tempo più rapido pari ad 1/1000 di secondo garantito di fabbrica.




Essa sostituiva il modello precedente, la 1600F,  introdotto nel 1948 che aveva il tempo più rapido pari ad 1/1600 di secondo, ma che putroppo si rivelò poco accurata, creando non pochi problemi per le riparazioni in garanzia che si resero necessarie.

La 1000F fu dotata di un meccanismo ritardatore riprogettato, e di tendine in acciaio Sandvik (famosa fabbrica di utensili svedese) spesse soltanto 0,016 millimetri.

L'innesto degli obiettivi, a vite con solo un quarto di giro e sblocco a pulsante era totalmente diverso, ed incompatibile con quello del successivo modello introdotto nel 1957, la 500C, che diede inizio allo straordinario successo mondiale del marchio Hasselblad.

In questi cinque anni di esistenza tuttavia la 1000F si garantì la reputazione di macchina affidabile e versatile, anche se comunque di concezione superata per l'assenza del preselettore automatico del diaframma e con le limitazioni sull'impiego del flash dovuto alle tendine a scorrimento sul piano focale. Era comunque quella macchina modulare ed accessoriata il cui concetto rimase immutato per sempre.

Ho sempre avuto una grande ammirazione per questa fotocamera, ma non avevo mai avuto l'occasione di vederne una sino a poco tempo fa, quando un cliente me ne ha affidata una da riparare.
Non esistendo nessun tipo di documentazione di officina al riguardo, e presagendo la difficoltà nello smontare e comprendere il funzionamento di una macchina del genere, ho avvertito il cliente che i tempi sarebbero potuti essere più lunghi del necessario, perché avrei condotto il lavoro con calma per studiare a fondo il funzionamento dei vari meccanismi.

In effetti è stato impegnativo: la 1000F è una macchina concepita alla fine degli anni 40, quando il costo della manodopera era presumibilmente meno importante di quanto lo sia diventato in seguito.
Le macchine successive infatti furono progettate in modo estremamente razionale, in modo da minimizzare i tempi di smontaggio per garantire manutenzioni in tempi rapidi. Il telaio della 500C e di tutti i modelli successivi è infatti composto da pezzi avvitati e facilmente scomponibili, tutta la meccanica è esterna al telaio e facilmente ispezionabile; lo stesso smontaggio del telaio è cosa che raramente è richiesta nella manutenzione ordinaria.

La 1000F invece ha un telaio monoblocco pressofuso, dove tutti i meccanismi sono avvitati uno sopra l'altro per cui lo smontaggio per la manutenzione è molto oneroso. La complessità dei meccanismi è altresì notevole, su uno stesso asse vi sono 4 ingranaggi sovrapposti che ruotano in senso contrario l'uno all'altro e comandano l'avvolgimento delle fettucce delle tendine sui rulli. Il ritardatore dei tempi è un freno a palette che gira in aria libera. Le molle tensionatrici delle tendine sono accessibili solo smontando mezza macchina. Inoltre il rotore principale, che ricarica le tendine e abbassa lo specchio assolve anche la funzione di cambiare i tempi, con una costruzione affascinante e complicatissima. Ho impiegato diverse ore per capire come sincronizzare i tempi di scatto alla scala graduata della manopola in totale assenza di documentazione. Inoltre tutte le boccole dei perni delle tendine erano asciutte e zeppe di sudiciume incrostato, ho dovuto ripulire i fori di oliatura con una punta elicoidale da 0,3 millimetri su mandrino a mano sotto oculare 3x.

Ma alla fine ci sono riuscito, e dopo aver rimontato la macchina e controllato i tempi di scatto con il tester optoelettronico sono rimasto letteralmente sbalordito dalla incredibile accuratezza dei tempi di scatto dopo 65 anni dalla messa in produzione di questo esemplare, datato 1954.

A titolo di curiosità ecco i tempi rilevati:

1/1000 = 1/1096
1/500 = 1/506
1/250 = 1/218
1/100 = 1/111
1/50 = 1/48
1/25 = 1/27
1/10 = 1/7
1/5 = 1/5
1/2 = 1/2
1 = 1,08

Che dire, se non per l'ennesima volta inchinarsi di fronte a tanta capacità.

Di una fotocamera prodotta oggi, che mai sarà fra 65 anni?

Ed ora qualche immagine per illustrare questo capolavoro di ingegneria meccanica di precisione, doveroso omaggio alla memoria di  Victor Hasselblad.



Ecco due viste della scocca esterna il lega leggera: è molto simile a quelle realizzate successivamente sulla 500C, ma il pulsanti sono molto più accurati e le finiture più eleganti.





Ora invece qualche vista del telaio pressofuso che ospita specchio e meccanismi:

Qui la complessa meccanica sul fianco destro, con il rotore di caricamento e selezione dei tempi (le due ruote forate sovrapposte) ed il treno di ingranaggi che comanda l'avanzamento sul magazzino.

La vista frontale, sulla sinistra il rotore, in basso la meccanica delle tendine ed il ritardatore.

Qui si vede bene il gruppo di ruote che girano contrapposte e che carica le tendine (sulla sinistra), mentre in fondo sulla destra vediamo i tensionatori delle tendine e sul davanti tutto il gruppo ritardatore.

Questo è il fianco sinistro, dove si raccolgono le due tendine durante lo scaricamento, e dove si vede la forcella che regola il tempo di ritardo del flash per le lampade al magnesio.

Questa invece la faccia inferiore, dove si possono scorgere le ruote di caricamento dei rulli tendine, e tutte le boccole di supporto ai perni col foro per l'oliatura (che ho dovuto "stappare" dalla sporcizia accumulata in decenni). Tutta la parte relativa alle tendine (ruote di trasmissione ed alberi) è alloggiata in un inserto di acciaio per garantire la massima longevità che la lega leggera non potrebbe garantire.

Questo è il complesso rotore che assolve tre funzioni: carica le tendine, abbassa lo specchio e regola i tempi. A differenza delle infime copie russe dove se non si regolano i tempi ad otturatore carico si spacca tutto, qui i tempi possono essere regolati indifferentemente ad otturatore carico o scarico.

Il fianco destro con il rotore rimosso rivela ulteriori componenti: l'albero della prima tendina, l'ingranaggio di regolazione dei tempi sigillato con lacca verde, il pignone a due denti che comanda lo specchio, il sistema a compasso che aziona il segnale magazzino pronto. Si notano le fettucce delle tendine, perfettamente integre.


Infine alcune viste della macchina rimontata e pronta per la consegna.


















Infine un breve filmato, dove si può notare il movimento senza incertezze delle tendine in questa macchina, progettata la bellezza di 67 anni fa.