mercoledì 15 aprile 2015

Fiori di ciliegio.


Il processo dello sviluppo di pellicole in bianco e nero funziona regolarmente e senza intoppi nel 90% dei casi.
Ma in quel restante 10% può creare problemi di incredibile difficoltà perché spesso non si tratta di un solo problema, ma della sinergia di tanti fattori, che identificare ed isolare può diventare un vero e proprio rebus.

Negli ultimi mesi ho avuto delle inspiegabili macchie sulle pellicole bianco e nero, macchie che si presentavano come alterazioni della densità del negativo secondo bande verticali, e si verificavano soltanto sul formato 120 e principalmente nelle zone più dense, quindi nel cielo.
Occasionalmente inoltre trovavo delle tracce casuali filiformi, come se i negativi avessero contratto la scabbia.

Tanto per farvi capire di cosa sto parlando, vi mostro un negativo che assomma tutti i difetti, compreso anche un flare in controluce:




Inizialmente i problemi si sono verificati soltanto con la pellicola Ilford PanF+ 50, e non riuscendo a risolverli in nessun modo ho semplicemente eliminato questa pellicola dalle mie preferite, non con poco rammarico, ma in certi casi è meglio amputare l'arto malato piuttosto che morire di cancrena.

Nei mesi successivi tuttavia il problema si è allargato progressivamente a tutte le pellicole, indistintamente, e la cosa ha preso una piega tale che risultava doveroso indagare a fondo per comprendere la natura del problema, ed è stato tutt'altro che banale.

Inizialmente temevo che si potessero verificare riflessi interni nel box specchio della mia Hasselblad 500CM del 1973. In fin dei conti il rivestimento antiriflesso non è che una specie di "vellutino" e la cosa poteva avere un senso, visto che non esistono materiali in grado di mantenere inalterate le loro caratteristiche per decenni.

Ma una prova molto semplice ha tagliato alla radice questa ipotesi: mi è bastato scattare qualche rullo di diapositive. Nessuna macchia, nessun segno, nessun alone.




Tirato quindi un sospiro di sollievo per l'ipotizzata inadeguatezza del corredo hasselblad, mi sono dovuto dedicare attentamente all'analisi dei problemi.

Premetto che sviluppo con la Jobo da molti anni ormai, prima utilizzavo la CPE2 con le tank serie 1500, poi sono entrato in possesso della CPP2 ed ovviamente ho venduto la piccola, ma ho conservato le tank 1500, che permettono di sviluppare usando quantità ridotte di liquidi.

Purtroppo uno dei problemi principali era esattamente questo: l'impiego di tank di piccolo diametro.

Le spirali della serie 1500 infatti hanno una spaziatura ridotta tra spira e spira e questo, durante la rotazione, non consente una adeguata circolazione dello sviluppo sulla pellicola.
Utilizzando quindi le tank della serie 2500 che sono di diametro maggiore ed hanno una spaziatura più ampia, il problema è scomparso.

Tuttavia inizialmente questa ipotesi l'avevo fatta, ed avevo provato appunto le tank 2500, col risultato che il problema si era ridotto, ma non eliminato.

Inoltre ho anche provato ad usare la tank a mano, senza usare la jobo, col risultato che le chiazze, invece di essere verticali, erano casuali. Ciò ha isolato lo sviluppo in rotazione come primo elemento di disturbo.

Doveva esserci però un altro motivo, che sommato al precedente creava gli aloni.


Dopo una serie di consultazioni telefoniche con i massimi esperti del settore, Andrea Calabresi e Gianfranco Pompei della Bellini, siamo arrivati ad ipotizzare che l'acqua del rubinetto che uso per le preparazioni dovesse essere satura di qualche elemento nocivo allo sviluppo, che poi è risultato essere il ferro.
Ho provato quindi ad utilizzare l'acqua di un'altra zona, con un deciso miglioramento, e poi l'acqua demineralizzata con un ulteriore miglioramento. Ma ancora non era ottimale.
Ho usato quindi l'acqua distillata da farmacopea ufficiale (che poi è acqua distillata con permanganato di potassio in caldaia per ossidare le frazioni organiche, ed è detta "bidistillata").

Con l'uso della tank piccola il problema persisteva, ma con le tank maggiorate il problema è scomparso del tutto.

Era ovvio però che non potessi assolutamente continuare ad usare acqua distillata per lo sviluppo: l'indebolimento della gelatina, oltre a creare problemi di potenziale distacco, spappola la grana, che negli ingrandimenti spinti si vede.

Col senno del poi dovevo arrivarci prima: ho sempre trovato tracce di ruggine nei filtri dei rubinetti. Ma si sa, gli unici che nascono già imparati sono i fotografi digitali, loro si che sanno tutto.

Perciò, dopo ulteriori consultazioni telefoniche mi è stato fornito uno speciale additivo, che aggiunto allo sviluppo ha complessato il ferro nell'acqua, liberandomi finalmente da un incubo che mi perseguita da mesi, se non da anni.
Il motivo per cui le diapositive vengono perfette anche in tank piccola è che il trattamento E6 è fortemente tamponato perché è standard ed è previsto per l'uso nelle peggiori condizioni. Ma il bianco e nero....è arte per pochi.

Quanto alle tracce filiformi, anche qui non è stato facile capire che erano dovute all'asciugatura forzata in armadio essiccatore: l'evaporazione rapida dell'acqua concentra le gocce residue facendole diventare sempre più piccole e calde e durante il loro movimento casuale sulla superficie, disegnavano queste "piste" sul negativo.
L'asciugatura in armadio può essere condotta alla temperatura massima di 32°C e conviene avviarla solo dopo che la gelatina non è più bagnata, la fase iniziale della asciugatura deve essere naturale.

Per quanto riguarda il flare invece ho deciso di fare un investimento: ho preso un compendium per hasselblad, che sarà brutto ed ingombrante quanto si vuole, ma che permette di scattare controluce quasi impunemente, ad onta della vetustà dei miei adorati obiettivi C.

Finalmente quindi posso riprendere a fotografare i cieli, ed il primo scatto "pulito" ho deciso di dedicarlo alla fioritura dei ciliegi, proprio con la PanF 50 (non ho usato il flash di riempimento).













sabato 11 aprile 2015

Note sul bianco e nero.

Una doverosa premessa: il giudizio di una foto in bianco e nero si può dare solo davanti ad una stampa, quindi le immagini che vedrete, che sono scansioni di negativi, vanno interpretate con cautela perché anche se cerco di farle assomigliare alle stampe, in realtà sono ben diverse, sopratutto nell'estensione tonale.

La coerenza tonale del bianco e nero è qualcosa di così difficile da spiegare che la si può apprendere solo dopo anni di esperienza in ripresa, sviluppo e stampa.
Oggi la maggior parte dei fotoamatori ritiene il bianco e nero come il ripiego della foto a colori malriuscita, spesso infatti mi tocca leggere frasi come "questa è la versione in bianco e nero".

Il bianco e nero non è una versione alternativa della foto a colori. E' una visione della realtà attraverso una distribuzione di toni grigi su carta bianca. La messa a punto della coerenza tonale richiede un impegno enorme, che può durare molto tempo.

Le immagini che siamo abituati a vedere oggi, in bianco e nero, fanno venire il vomito; essendo figlie del digitale e del suo puzzolente fiato corto, mancano di estensione tonale, e spesso, in omaggio al presunto lavoro di chissà chi, contrastate in modo barbaro, al punto da renderle grottesche.

La perdita della capacità di ragionare, dovuta alla semplificazione del lavoro da svolgere su una foto in bianco e nero, ha reso i fotoamatori tutti uguali. Scattano a caso, eventualmente ripetendo lo scatto sino a quando credono che possa andare bene; arrivano a casa e devono sopportare il tedio dello scaricamento delle foto sul pc (dove la maggior parte di esse poi muore) e del successivo rimaneggiamento in photoshop per cercare di restituire a quei poveri pixel la dignità che non hanno mai avuto (operazione che i più disonesti chiamano "sviluppo").
Poi, davanti alla triste realtà, non resta che spostare quei finti cursori un pò a casaccio, magari chiedendo aiuto nei soliti forum su quali impostazioni possano dare i migliori risultati.

Sembra la ricerca affannosa della pietra filosofale che impegnò gli alchimisti del medioevo.

La pubblicazione di questi obbrobri, magari deturpati dall'invadente "firma" che preserverebbe l'autore dal furto (ma quando mai rubano la spazzatura??) conclude la prima fase.

Successivamente, qualora l'immaginetta non riscuota il successo sperato, il fotoamatore più cafone arriva a frignare sui forum perché ha ricevuto tante visite e nessun commento.

Dignità=zero.

Il bianco e nero è un'arte visiva sublime, permette di arrivare ad una visione del mondo, degli oggetti e delle persone che può produrre forti emozioni in chi osserva.
Ma bisogna rieducare l'occhio, gettando via tutto il pattume che i produttori di ciarpame tecnologico ci hanno costretto a vedere facendo credere che sia il meglio. Non è vero. Non è il meglio, è il peggio.

La pellicola, sapientemente esposta, sviluppata e stampata, può generare fotografie che quando arrivano nelle nostre mani sortiscono l'effetto di un pugno nello stomaco e fanno capire di colpo quanto sia vuoto, nullo ed inconsistente tutto quello che abbiamo fatto e creduto sino a quel momento.
Salvo poi riprendersi dopo essersi resi conto che l'apprendimento della fotografia richiede un impegno enorme, uno studio continuato ed approfondito, e visto che la società attuale è pigra, inerte e viziata, rinunciare, magari disprezzandola come fece la volpe nella favoletta di Esopo.

Vi mostro qualche scansione, ottenuta anteponendo un leggero filtro giallo da mezzo stop, che riequilibra l'eccessiva sensibilità al blu delle pellicole (pur pancromatiche), restituendo una gamma tonale più delicata e coerente con la visione del mondo in bianco e nero, come piace a me.


Lo scafo dello yacht è nero e le murate sono bianche. Difficile renderle coerentemente.




Questo è un ingrandimento della lanterna sullo sfondo...onore all'S- Planar.






Passeggiata di Nervi a pasquetta....un delirio!